Si sale in stretti viottoli, tra pitture murali votive e vecchie case paesane forse abbandonate, mentre l’ombra lunga delle vicine Alpi stende un velo di metafisico silenzio. Nonostante il traffico. La pioggia leggera rende Biumo Superiore, ora quartiere di Varese, degno di manzoniana penna.
Proprio qui, dietro il sobrio portone d’ingresso, si apre una delle ville più belle d’Italia, denominata per esteso Orrigoni Menafoglio Litta Panza. Settecentesca magione “di piacere”, domina la città con la discrezione di scelte architettoniche, gusti e stilemi d’altri tempi. Tempi di splendori messi in pratica, ovviamente ad uso nobiliare, ma anche tempi che cambiano, seppure in base ai secoli e non ai capricci del momento.
Fortemente trasformata nell’800 – quando divenne dimora signorile dei Litta Visconti Arese – e negli anni ’30 con gli interventi di adeguamento (dalle carrozze alle autovetture), operati dal sommo architetto Piero Portaluppi, conserva intatto un giardino all’italiana di straordinaria bellezza, quinta dalla quale si può ammirare il Monte Rosa sullo sfondo, senza troppi sforzi. Serra che pare uscita da un film di Wes Anderson, rustici e scuderie, laghetto scenografico, poi verde in tutte le sue declinazioni. A perdita d’occhio. Alternanza di periodi di splendore e di decadenza, conferiscono a questo luogo il fascino imperituro di ciò che, comunemente, è definibile come bellezza.
Villa Panza, dal 1996 patrimonio FAI, si attesta proprio grazie all’impeccabile gestione della Fondazione, a livelli di assoluta eccellenza, sia per quanto riguarda le iniziative d’arte contemporanea, sia nell’accortezza della costante opera di mantenimento. Ma entriamo, per un viaggio più imprevedibile di quanto possa sembrare. Espletate le pratiche in biglietteria e data l’ora di pranzo, le gentilissime operatrici ci indirizzano al ristorante Luce, interno alla dimora. Luogo nel luogo, scrigno di eleganza culinaria giammai ostentata, il Luce si distingue per piatti estetizzanti ma non effimeri, ottima carta dei vini e servizio impeccabile. Rifocillarsi, dopo il traffico della Milano-Varese, con vista giardino velato d’impalpabile uggia, non ha prezzo. Pare d’essersi accoccolati in un salotto onirico, in un limbo temporale che dal ‘700 ad oggi protegge la vista da ogni bruttezza. La tentazione di fotografare ogni dettaglio si scontra il galateo.
L’atmosfera da romanzo romantico inglese – John Keats, Emily Dickinson, sorelle Brontë – è davvero suggestionante, ma qui sarebbe assai limitante. La dimora tuttora vive, non è solo approdo per nostalgiche elucubrazioni retrò. Ciò grazie al mecenatismo dell’ultimo proprietario, ovvero il Conte Giuseppe Panza di Biumo.
Figura di alto spessore culturale, Panza fu forse il primo ad intuire il traumatico cambiamento dei codici estetici, nella seconda metà del ‘900. Collezionista attentissimo, predilesse l’Arte Povera, il minimalismo (molti monocromi, Spalletti, Sims, Simpson) e, in seguito, gli esponenti dell’avanguardia americana, compiendo di fatto un’ardita rivoluzione in Villa. Davvero straniante e al contempo intrigante, quindi, passeggiare tra passato classicista e futuribile sottrattivo. Un’intera ala del palazzo è infatti stata predisposta, coraggiosamente, per ospitare le installazioni luminose e site-specific, di Dan Flavin, Robert Irwin e James Turrell. Opere radicali, forse oggi meno apprezzate rispetto agli anni ’60, ma segni storicizzati di un movimento – anche strutturale – che trasformò ulteriormente la dimora, consegnandola così alla contemporaneità. Coerentemente con queste direttive, fino al 15 ottobre 2017, è possibile ammirare i meravigliosi interventi di Robert Wilson.
Tableau vivant e video portraits sonorizzati, perfettamente allestiti, dialogano armonicamente con il classicismo delle sale, perpetuando archetipi altamente suggestionanti. S’accomodano così, tra specchiere e lampadari maestosi, Lady Gaga, fantastica nei panni di Madamoiselle Caroline Rivière (Jean Auguste Dominique Ingres – 1806) e Brad Pitt, autoironico con una pistola ad acqua sotto la pioggia. Poi Isabella Rossellini, Robert Downey Jr., Roberto Bolle, Gao Xingjiang (“La solitudine è una condizione necessaria della libertà”), che si alternano in un viaggio di seducenti rimandi.
All’uscita pare davvero d’aver sbagliato mondo, incantati da tanta bellezza riportiamo la frase di Rainer Maria Rilke, tratta da Lettere ad un giovane poeta (1929) e citata come incipit per la mostra di Wilson: “Qui non serve misurare con il tempo, a nulla vale un anno e dieci anni non son nulla”. Ecco, Villa Panza non è, non potrà mai essere, la mera visita museale per scolaresche distratte, o il devozionale omaggio al passato per casuali gite; è qualcosa di diverso, un’esperienza davvero unica e consigliabile ai più. Occorre andarci apposta.