Osservare e analizzare l’appuntamento plebiscitario (preferiamo questa accezione moderna quale scelta popolare sulla struttura dello Stato o sulle annessioni territoriali) del prossimo 22 Ottobre, risulta un compito spinoso e delicato, soprattutto se si decide di paragonarlo inevitabilmente a quello che ebbe luogo il 21 e 22 Ottobre 1866 e che vide la clamorosa annessione al progetto unitario del Veneto e di Mantova al Regno d’Italia.

L’unicità dell’istituto plebiscitario  “modernissimo e barbarico” al tempo stesso, la partecipazione alla vita politica di milioni di cittadini ritenuta nel periodo risorgimentale una pratica democratica inconsueta, il ruolo della carta stampata che esorcizzava l’astensionismo ed infine la situazione di sconforto e malessere politico percepito dalla nazione, sono alcune delle analogie che a distanza di 151 anni si ripresentano ex-novo.

Nonostante la cattiva fama, dovuta principalmente alla prevedibilità dei risultati, l’istituto referendario è una manifestazione, spesso considerata eccezionale, della volontà popolare finalizzata non ad eleggere rappresentanti ma pronunciarsi tramite il voto su una determinata questione. Il plebiscito offre al potere politico una straordinaria ed efficace possibilità di ridefinire radicalmente i momenti critici di una vita politica che spesso si trova in una situazione di stallo elefantiaco soprattutto in termini territoriali.

Pertanto il diritto di iniziativa dell’autorità politica, la volontà di concretizzare riforme costituzionali e le conseguenze dell’esito del voto, rivestono un ruolo dominante all’interno dell’analisi storico politica di entrambi i plebisciti in esame. Tanto autorevole e fondata sarà l’azione del soggetto promotore, tanto autorevole e fondata sarà la partecipazione dei cittadini chiamati alle urne perché motivati da una specifica idea di sovranità popolare.

Le consultazioni plebiscitarie in particolare nei casi ottocenteschi rappresentavano delle officine di apprendistato alla vita politica; milioni di cittadini sino a quel momento totalmente estranei alle pratiche elettorali venivano chiamati ad esprimersi su specifiche tematiche di interesse collettivo nonostante privi di un’educazione politica.

Anche la carta stampata dell’epoca incoraggiava e sosteneva la svolta unitaria, rivestendo un ruolo determinante nella fase di propaganda e preparazione al voto. Un articolo manifesto dal titolo “Un buon consiglio” comparso su “La Nazione” del 17 Marzo 1860 affermava che “la scelta della soluzione unitaria avrebbe posto i loro interessi sotto la salvaguardia di un forte stato monarchico e della sua indiscussa autorità conservatrice, affinché l’ordine sia assicurato e stabilito” a dispetto di una scelta indipendentista che avrebbe escluso la regione Toscana nelle relazioni politiche ed economiche. La stampa del tempo ribatteva insistentemente su determinati argomenti prediletti ad elettori avulsi di un’educazione politica ma impressionabile a argomenti di carattere economico, di benessere materiale e sicurezza individuale. Malgrado le difficoltà di tradurre in termini comprensibili a tutto il corpo elettorale, specialmente ai meno preparati l’importanza dei temi oggetto della consultazione, l’articolo raccomanda la partecipazione evitando qualsiasi azione per impedire che altri si rechino alle urne.

Ma la classe politica del 1866 sembrava vivere un momento di immobilismo, una classe dirigente che vacillava causando malessere e sconforto; il voto del 21 e 22 Ottobre 1866 così come quello del prossimo 22 Ottobre sanciva definitivamente gli entusiasmi risorgimentali e auspicava una svolta, una fase di realismo e pragmatica azione amministrativa per concretizzare le riforme necessarie.

151 anni dopo il referendum lombardo del prossimo 22 ottobre si pone nell’alveo di una necessaria autonomia sostanziale, oggi più di allora, rispetto ad uno Stato accentratore che formalmente, nella propria Costituzione, prevede un aumento di competenze, di autonomia e maggiori risorse ma di fatto ha sempre sbarrato ogni collaborazione al fine di rendere operativo l’art. 116 della Costituzione stessa.

Una referendum che non necessita di quorum e non è vincolante ma, consultivo e potenzialmente epocale così come lo è stato quello della “Brexit” ma con un senso fortemente politico, più economico che identitario e scevro da propositi secessionisti o di bandiera partitica.

Ora, differentemente da allora, il Governo e i suoi partiti di riferimento per lo più boicottano questa più elevata forma di democrazia diretta tacciandola di inutilità storica parimenti al comportamento tenuto dai detrattori del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Europa.

Appare fondamentale, pertanto, una forte affluenza positiva che dia uno slancio innovativo per la conseguente trattativa stato-regione da tradursi in proposta di legge ed approvarsi dai due rami del parlamento centrale a maggioranza assoluta.

Qualunque sia l’esito, il dado è tratto.